Nell’immaginario collettivo siamo portati ad associare la gentilezza con la debolezza ma ti assicuro che non è così.

Credo che sia necessario fare chiarezza su cosa significhi davvero essere gentili.

“Sii gentile, fai questo piacere alla mamma….”

Le parole portano con sé le nostre memorie e spesso finiamo per utilizzarle senza neanche rendercene più conto. Per molti di noi essere gentili significa mettere in secondo piano i nostri bisogni per soddisfare quelli degli altri, non ascoltare noi per ascoltare gli altri. Significa non avere la forza di far valere il nostro sentire lasciando che l’altro si prenda tutto lo spazio.

Bene, questa non è la Gentilezza di cui voglio parlarti perché questo tipo di gentilezza non fa bene né a te né alle tue relazioni. E’ una gentilezza superficiale, formale che si porta dietro aspettative che potrebbero essere poi disattese e tenerti legato a memorie negative.

La gentilezza di cui voglio parlarti è una Gentilezza che nasce da una scelta consapevole, dalla libertà di poter ascoltare e accogliere l’altro senza mettere in secondo piano noi stessi. Questo tipo di gentilezza trova spazio dentro di te solo quando prima sei stato gentile con te stesso.

Potrai sorridere agli altri solo se prima sei riuscito a sorridere a te stesso accogliendo tutte le tue pene, i tuoi problemi, le tue paure.

Potrei dire parole gentili solo se prima sei riuscito a sussurrare a te stesso parole gentili.

Potrai aiutare gli altri solo se prima hai aiutato te stesso.

Facciamo qualche esempio:

“Luca ha un negozio di prodotti informatici e ha imparato che con i clienti deve essere gentile. Quando li riceve li saluta con un sorriso, li ascolta ma quando gli fanno delle domande che presuppongono totale ignoranza informatica, dentro di lui scoppia un inferno. DEVE essere gentile ma quella domanda no, proprio no, non la può sentire. Luca ora è impegnato a gestire il suo dialogo interno e con difficoltà da questo stato potrà continuare ad essere gentile con il suo cliente.”

La gentilezza a questo punto se c’è ancora potrebbe nascere:

  • Dalla paura di perdere il cliente. In questo modo soffoco il mio sentire in favore di quello del cliente ma probabilmente a lungo andare il mio corpo esprimerà questa violenza ad esempio con una malattia.
  • Dal riconoscere che anche io certe volte non conosco le cose e quando accade va tutto bene, il mio valore non cambia. In questo modo posso accettare la mancanza di competenza dell’altro con gentilezza perché mi permetto di vedere e accogliere anche le mie.

“Giulia ha un figlio, Filippo di 8 anni. Va a prenderlo a scuola e Filippo chiede di poter invitare un amichetto per giocare. Giulia ha già preso un appuntamento e organizzato diversamente il proprio pomeriggio. Giulia ha imparato che se vuole evitare un “capriccio” deve prima accogliere con gentilezza il bisogno del figlio e poi esprimere il proprio NO. Ma…. non basterà che Giulia dica: “Mi dispiace, so che ti piace tanto invitare i tuoi amici. Oggi dobbiamo rimandare questa cosa. Abbiamo già un altro impegno. Che ne dici che li inviato dopo domani?”.”

Non bastano le giuste parole, ci vuole di essere in contatto con l’altro. Se Giulia sarà in grado di sentire il dispiacere di suo figlio e lo saprà accogliere con gentilezza eviterà il braccio di ferro o un gioco di potere. Per fare questo Giulia deve aver imparato ad ascoltare e soddisfare i suoi bisogni altrimenti scatta il pensiero “Col cavolo, oggi si fa come dico io!”.

“Lucia è una donna gentile e sempre disponibile. Un giorno ha bisogno che qualcuno le tenga la figlia mentre deve andare ad un appuntamento importante. Chiede aiuto ma nessuna delle sue amiche può aiutarla. Di fronte a questi no, si arrabbia tantissimo e litiga con le sue amiche. Rinforza così la sua idea che quando alle persone dai una mano loro si prendono il braccio ma poi quando serve ti girano le spalle.
Lucia è molto arrabbiata e rischia di rinunciare al suo essere gentile perché si sente delusa dalle persone che incontra.”

Ma la sua era davvero gentilezza?
Molte volte quando ci prodighiamo per gli altri in realtà stiamo soddisfacendo un nostro bisogno: di sentirci utili, visti, importanti…. Cerchiamo fuori di noi il riconoscimento del nostro valore dimenticando che se impariamo a riconoscercelo possiamo gestire in modo più equilibrato il nostro dare, dicendo Sì quando sentiamo che vogliamo farlo e No quando sentiamo che in quel momento abbiamo altre priorità. Se impariamo a sentire quando vogliamo dire sì o no, possiamo anche accogliere in modo diverso i no che riceviamo perché non sono un “no” a noi, un non ti vedo, non sei importante ma semplicemente l’espressione di un bisogno di quella persona.

Cosa posso fare da subito?

E’ molto più semplice di quanto tu possa credere.

Il primo passo è una scelta, la scelta consapevole di voler stare in questa Gentilezza, quella di chi è forte.

Poi… continua con questo esercizio:

Prendi un piccolo quaderno per i  tuoi appunti.

Imposta durante il giorno almeno 4 momenti, puoi programmarli con la sveglia del cellulare, in cui ti fermi e chiedi a te stesso con amorevole gentilezza:

“Di che cosa ho bisogno adesso?”

Potresti aver bisogno di bere, di sentire un amico, di fare due passi, di cambiare posizione, di dire NO, di dire SI… Solo tu saprai che cosa ti serve. Ascoltati e sii gentile con te stesso, se puoi soddisfa i tuoi bisogni, se non puoi subito riconoscili e rimanda ad un altro momento il loro soddisfacimento.

Fai questo per 21 giorni senza saltare un giorno, se salti un giorno ricomincia da capo. 21 sono i giorni necessari al nostro sistema nervoso, alle nostre sinapsi, per sedimentare una nuova abitudine.

Che la Gentilezza sia con te!